La visita di Matteo Salvini negli Stati Uniti ha curiosamente riportato la politica interna italiana indietro di moltissimi anni, sino ai tempi del Muro di Berlino bene in piedi e presidiato, per quanto il mondo bipolare non ci sia più e la Nato non sia più quella di una volta, spesso mal tollerata persino dagli americani, almeno nelle apparenze.
L’interesse che il leader leghista, vice presidente del Consiglio e ministro degli Interni, titolare dal 26 maggio del partito più votato in Italia, quasi com’era una volta la Dc, si è guadagnato al Dipartimento di Stato americano e alla Casa Bianca, sia pure fermandosi a parlare in quella magione per cause di mero protocollo solo col vice di Donald Trump, almeno sino al momento in cui scrivo, e l’eco italiana dei suoi incontri e delle sue dichiarazioni oltre Oceano hanno ricordato ai meno giovani le cronache degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta.
Allora negli Stati Uniti facevano la fila per essere ricevuti e ascoltati esponenti italiani della politica in pericolo, e quindi desiderosi o bisognosi di aiuto, o in crescita, e quindi desiderosi o bisognosi di gradimento e incoraggiamento. Persino i comunisti parteciparono ad un certo punto a quelle file, pur stando all’opposizione ma essendo desiderati in Italia da chi era al governo.
Il più brutale, o franco, e anche spaventato, nella ricezione e nella rappresentazione dei segnali reali o solopercepiti attorno al viaggio americano di Salvini è stato forse in Italia, e sotto le cinque stelle, Il Fatto Quotidiano con quel “Salvini agli ordini di Trump” gridato
in prima pagina. È un t
itolo sotto certi aspetti simile a “L’amicone americano” di Repubblica, ma anche al Salvini che “si piega all’agenda Trump” della Stampa.
Non parliamo poi del Giornale della famiglia Berlusconi. Che, smanioso com’è di una crisi di governo per interrompere la missione affidata dallo stesso Berlusconi al leader leghista l’anno scorso di dividersi il potere col giovane Luigi Di Maio, pur di risparmiare a Forza Italia le elezioni anticipate d’estate, o le elezioni tout court, dopo il sorpasso subìto nel centrodestra il 4 marzo, rivela “il patto segreto” d’oltre Atlantico, tradotto in questo titolo su tutta la prima pagina: “Salvini porta a Trump la testa dei grillini”. Per
La Verità, sempre da destra, “la sponda” che Salvini ha cercato e ottenuto a Wasghinton “contro la Ue”, mentre fervono davanti e dietro le quinte contatti e trattative fra Roma e Bruxelles per
fermare la procedura d’infrazione per debito eccessivo predisposta dalla Commissione europea uscente, è stata “pagata” dal leader leghista allineandosi a Trump nei rapporti tesi con Iran e Cina.
C’è da chiedersi a questo punto se e come il buon Emilio Giannelli aggiornerà sulla prima pagina del Corriere della Sera la vignetta, diciamo così, di previsione dell’incontro di chiarimento di Giuseppe Conte con i suoi due vice, dopo il ritorno di Salvini dagli Stati Uniti. “Il vostro -fa chiedere Giannelli da Giuseppe Conte ai suoi due ex angeli custodi- è un contratto a termine o un contratto terminato?”. Bella domanda, viene voglia di dire. Ma è anche una domanda che in qualche modo riavvicina Conte a Di Maio dopo le incomprensioni degli ultimi tempi, prima e dopo le distrazioni del presidente del Consiglio nel lontano Vietnam, reduce da una conferenza stampa a Roma che sembrava avergli fatto spiccare il volo ben oltre le cinque stelle.