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Vi racconto le sinistre acrobazie di Damilano e Domani su Conte e Craxi

Che cosa ha scritto Marco Damilano su Domani a proposito della manifestazione del M5s a Roma, con un paragone piuttosto ardito tra Conte e Craxi. I Graffi di Damato

Sentite o leggete questo Marco Damilano sul Domani di carta di Carlo De Benedetti a proposito della manifestazione pentastellata di sabato scorso a Roma, sullo sfondo dei fori imperiali, per la pace e contro il riarmo europeo: “Dopo il successo della piazza, vinta la prova di forza, superata l’urgenza del primum vivere, la stessa del Psi di Craxi di mezzo secolo fa, per Conte arriverà il momento della trattativa con i compagni di strada, a cominciare dalla Schlein”. Sulla strada, in particolare, dell’alternativa al centrodestra, di cui l’ex premier si è intestato il “primo pilastro” sognando magari anche il ritorno a Palazzo Chigi dopo lo sfratto del 2021 che ancora gli brucia.

Conte, quindi, Giuseppe Conte, o Giuseppi al plurale della famosa benedizione di Donald Trump nella sua prima esperienza alla Casa Bianca, nel 2019 mentre l’amico a Roma archiviava il suo primo governo per formarne un altro con una maggioranza diversa, anzi opposta; Conte, dicevo, è stato paragonato da Marco Damilano al Bettino Craxi del 1976. Che raccolse il Psi al suo minimo storico, cui l’aveva portato Francesco De Martino, e ne promosse la sopravvivenza e la ripresa, cominciata già nelle elezioni anticipate del 1979. E culminata nei due governi Craxi fra il 1983 e il 1987.

Bettino Conte, si potrebbe pensare e persino dire anche a costo di procurare un infarto a Giuseppe Conte. Cui penso che il paragone dell’ex direttore della penultima edizione del vecchio Espresso con Craxi non possa essere piaciuta, pur condito col riconoscimento o l’auspicio di poter salvare il MoVimento 5 Stelle dal minimo storico raggiunto nelle elezioni europee del 2024, con quel meno del 10 per cento contro il 32,7 delle elezioni politiche del 2018. Da cui era uscito, come una sorpresa dall’uovo di Pasqua, il primo governo dell’allora quasi ignoto, per quanto professore universitario, Giuseppe Conte.

Craxi – vorrei ricordare all’acrobatico Marco Damilano, ma anche al suo editore di carta stampata – salvò il Psi facendogli, fra l’altro, adottare la linea alla quale il Pci della cosiddetta solidarietà nazionale si era sottratto fuggendo dalla maggioranza di ben due governi monocolori democristiani di Giulio Andreotti: la linea, direi, di Comiso. Che io chiamo così dalla località italiana, e base americana, dove furono installati i missili del riarmo della Nato. Che si rivelò propedeutico al crollo del comunismo senza bisogno di sparare un solo colpo di pistola.

Il riarmo è invece per Conte – e per il suo improbabile terzo governo subìto dalla Schlein – una parolaccia, una bestemmia, pur essendo ormai la Russia di Putin una mezza riedizione, ma nuclearizzata fino ai denti, della Russia di Stalin. “Fuori la guerra dalla storia”, ha gridato sabato il popolo di Conte. Uno slogan che Mattia Feltri oggi sulla Stampa definisce “il più cretino di sempre” perché questo “può essere soltanto l’obiettivo di chi fuori dalla storia ci ha piantato le tende”. O i pilastri.

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