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A Palazzo Chigi abita davvero una figlioccia di Mussolini?

La lettera di Michele Magno

Caro direttore,

in Italia c’è un clima da anni Trenta e a Palazzo Chigi abita una figlioccia di Mussolini? L’accusa è risibile, ma non è poi molto lontana da quella che Schlein, Conte e Fratoianni, insieme al quotidiano la Repubblica, muovono al governo: le sue riforme costituzionali mirano all’instaurazione di un regime autoritario, le sue politiche migratorie e della famiglia sono nefaste e misconoscono i diritti civili delle minoranze. Ora, che Salvini sia stato il primo a candidare anni fa esponenti di Casa Pound nelle sue liste, e che intorno a Giorgia Meloni, a Roma come nelle amministrazioni locali, vi sia un gran numero di giovani e meno giovani che non nascondono la loro nostalgiche per il Duce e, talvolta, per le croci uncinate e i saluti romani, è un triste fatto innegabile.

Si tratta di un problema che danneggia l’immagine della premier, la espone alla facile propaganda delle opposizioni, getta un’ombra sulla credibilità di un progetto neoconservatore che si ispira a un riscoperto Giuseppe Prezzolini: “[…] il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il vero conservatore intende ‘continuare mantenendo’, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il vero conservatore sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a princìpi permanenti” (“Manifesto dei Conservatori”, 1972).

Ha scritto Alessandro Campi che Meloni e gran parte del suo attuale gruppo dirigente sono cresciuti leggendo le saghe tolkieniane, non Gentile, Evola o Romualdi. Sulle pareti delle loro sezioni era appeso il poster di Borsellino e non quelli di Leon Degrelle o di José Antonio, come accadeva per la generazione di attivisti immediatamente precedente (“L’ombra lunga del fascismo”, Solferino 2022). E, poi, è cambiato il mondo: con la fine della Guerra fredda e il crollo del blocco sovietico anche l’anticomunismo militante è diventato anacronistico. E, allora, cosa impedisce al presidente del Consiglio di mettere un po’ di ordine nella sua gioventù indisciplinata e di percorrere finalmente l’ultimo miglio? Forse perderebbe qualche consenso, ma sicuramente ne guadagnerebbe molti altri, in Italia e in Europa.

Detto questo, domando: è un bene o un male la “melonizzazione” della destra italiana in corso da due anni? È un bene o un male la sua linea sull’Ucraina alternativa a quella di Salvini? È un bene o un male che il ministro Giorgetti non abbia dato ragione al suo capo politico, il quale invoca incessantemente deficit aggiuntivi a fini elettoralistici? Inoltre, forse la separazione delle carriere tra pm e giudici configura nomine in massa di magistrati allineati al potere esecutivo, come è avvenuto in Ungheria e Polonia? Infine: l’elezione diretta del premier, così come viene configurata fini qui, presenta certamente numerosi lati oscuri, sottolineati da costituzionalisti di ogni tendenza dottrinaria. Tuttavia, finché non è chiaro con quale legge elettorale si intende realizzare il “cambio di regime” parlamentare è possibile giudicarlo come una manomissione autocratica della Costituzione?

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