E’ un mese che Ottaviano del Turco non è più con noi e sono grata al giornale che mi offre l’opportunità di ricordare un amico vero, conosciuto da pochi come persona in quanto intimamente riservato. Ottaviano se n’è andato dopo una vita impegnata vissuta da autodidatta, perché non era certo cresciuto in una scuola politica, venendo da quel paese abruzzese che amava e che lo ha accolto sempre nel trionfo e nel dolore.
Del Turco aveva frequentato le scuole fino alla terza media e poi, da buon socialista, era cresciuto dentro e in mezzo alle sedi periferiche di partito, con un’intelligenza e una volontà che i libri ritengono appartenere solo ai grandi leader (che hanno frequentato scuole prestigiose).
Lui, invece, rappresentava il valore della politica socialista creativa, con una capacità di generare innovazione studiando le vicende e la storia del partito e, allo stesso tempo, ricombinando in maniera originale elementi già conosciuti e attualizzandoli con idealismo e anticonformismo.
Ottaviano aveva la memoria, la capacità di affrontare e risolvere i problemi, rapidità di apprendimento e capacità di elaborare nuove strategie politiche, restituendo ai compagni e compagne socialiste – e non solo – quella forza che ci consentiva di esprimerci con pari dignità nel mondo sindacale, istituzionale e politico, in un rapporto privilegiato sistematico tra noi e lui, con la sua tenacia.
Un’amicizia molto forte, la nostra, che si è creata negli anni dell’esperienza in Cgil e che si è consolidata nella comprensione naturale delle sue intuizioni, quando affrontò per primo il tema dell’occupazione in termini non solo di quantità di lavoro, e considerando anche la qualità del lavoro – cioè l’adeguatezza e l’equità del sistema sociale e contrattuale -, con il coraggio di sostenere il famoso accordo di San Valentino, che portò ad uno scontro micidiale tra socialisti e i cosiddetti “cumunisti” nel ventre del sindacato, il cui capo era Trentin e Ottaviano il suo braccio destro.
Del Turco è stato poi a capo della Commissione Antimafia e, prima ancora, ha tentato generosamente di salvare ciò che si poteva nel massacrato partito socialista.
E, ancora, il lodevole percorso come governatore della sua Regione – rinata con iniziative coraggiose, fino a che la violenza e le menzogne di una magistratura e di un partito settario – che non lo aveva mai accettato perché troppo autorevole e libero da compromessi, soprattutto onesto – lo hanno trascinato in vicende vergognose e falsità ignobili.
La mia amicizia con Ottaviano è stata entusiasmante e sono grata dei momenti trascorsi e delle affettuosità che mi ricordano tempi di una maturità politica irripetibili.
Ricordo quando mi telefonò per dirmi che era stata una genialità l’iniziativa – che avevamo assunto con un’altra compagna di Roma, Fiorella, dopo la strage dei bimbi di Beslan – nell’accendere alla finestra una candela per quella vigliaccata consumata già da allora da Putin; o il suo entusiasmo quando, con Giuliano, apprezzavano le lasagne di mia madre, il suo talento creativo quando inventò ancora l’attuale quadratino rosso simbolo del sindacato di maggioranza, o mi segnalava la sua partecipazione a varie mostre che coincidevano nell’area emiliana… o il suo disegno di testa di cinghiale che mi dedicò, siglandolo come mio ammiratore e chiamandomi “Sandra”.
Infine, i momenti di grande amicizia vissuta insieme a Giuliano anche nella sua Collelongo, nei palazzi romani, in una complicità che si trova raramente negli ambienti che frequentavamo tutti e tre.
Ottaviano, ci manchi molto.