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Russia, che fine ha fatto il (segretissimo) sottomarino Losharik?

Lo scorso primo luglio 2019, alle 8.30 ora di Mosca si sviluppa un incendio a bordo del Losharik; molto probabilmente partito dal locale batterie. Dopo ore di tentativi, alla fine l’incendio viene domato ma il bilancio delle perdite è pesante. L'approfondimento di Giovanni Martinelli

Pochi giorni fa, quasi nascosta tra le varie notizie riguardanti la cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina, l’agenzia di stampa ufficiale Russa TASS ne ha invece fornita una legata a un tema molto particolare. In occasione del “Army-2024 International Military-Technical Forum” una fonte anonima ha infatti rivelato che i lavori di riparazione e modernizzazione del sottomarino AS-31 Losharik saranno completati nel 2025.

Ai “non addetti ai lavori” tale notizia apparirà (legittimamente) quasi irrilevante. In realtà, quello in questione non è un argomento poi così banale; per 2 motivi. Il primo perché il battello in questione presenta delle caratteristiche assolutamente peculiari; per non dire uniche. Il secondo perché proprio quest’ultimo è stato vittima di un gravissimo incidente avvenuto nel 2019; da cui il suo fermo da allora e la necessità di (estesi) lavori di riparazione.

COS’È IL LOSHARIK

Secondo la terminologia in uso in Russia, questo sottomarino viene tecnicamente identificato come Project 10831, mentre nella Marina Russa esso diventa (come detto) AS-31; anche se altre fonti propendono per l’identificativo AS-12. Di fatto dunque, questo stesso battello non ha un vero e proprio nome; Losharik è infatti solo un soprannome, che però nel corso del tempo ha finito con il diventare di uso comune. Quale informazione aggiuntiva poi, la NATO lo ha invece adottato una propria denominazione: NORSUB-5.

Impostato nei cantieri Sevmash di Severodvinsk nel luglio del 1990, il suo varo avviene ben 13 anni dopo (nell’agosto del 2003) mentre la consegna si suppone sia avvenuta nel 2010. Per lungo tempo si è parlato di una unità gemella in costruzione o comunque in procinto di esserlo ma, in realtà, questa ipotesi non ha mai trovato alcuna conferma.

Del resto, la segretezza su questa unità è da sempre massimo; tanto che quando si tratta dei delinearne le caratteristiche di massima, inevitabilmente si finisce con il fare ampio ricorso al condizionale. Per quanto riguarda la lunghezza e la larghezza massime, le stime più attendibili riferiscono rispettivamente di 70 (circa) e 7 metri. Il dislocamento in superficie dovrebbe essere di circa 1.600 tonnellate, che salgono a circa 2.100 in immersione.

L’apparato è costituito da un reattore nucleare, capace di erogare una potenza (ipotizzata) di 15.000 hp e in grado di imprimere una velocità massima in immersione (sempre ipotizzata) di oltre 30 nodi; garantendo al tempo stesso una notevole autonomia, stimata in settimane. Dunque, già da questo elemento si comincia a capire che quello in questione è un sottomarino fuori dal comune; perché la propulsione nucleare è (decisamente) anomala su battelli di dimensioni così ridotte.

Un’ulteriore caratteristica distintiva è rappresentata dall’equipaggio; a prescindere dal numero esatto (si spazia infatti a seconda delle fonti da 25 a 36 uomini; anche se appare più probabile il primo valore), esso è interamente composto da ufficiali. Elemento legato alla particolare natura e del sottomarino stesso e alle missioni a esso assegnate.

Ma l’aspetto più distintivo dell’AS-31 alla fine rimane la soluzione costruttiva adottata, che si lega esattamente al tema appena accennato delle missioni. Il cosiddetto “pressure hull” (lo scafo interno resistente alla pressione, quello cioè destinato a ospitare fisicamente equipaggio e sistemi di bordo) è infatti realizzato attraverso l’unione di 7 compartimenti in titanio e di forma sferica. La sfera infatti garantisce per sua stessa natura una maggiore resistenza proprio alla pressione; mentre il titanio è uno dei metalli più resistenti ai fenomeni di fatica.

Sempre tenendo conto dunque delle difficoltà legate alla pressoché totale assenza di informazioni ufficiali, più di una fonte riferisce così di profondità raggiungibili davvero elevate. I 2.000, o forse 2.500, metri sarebbero già stati raggiunti nel corso di una missione anni addietro ma fonti russe riferiscono (addirittura) di 6.000 metri quale profondità massima che può/potrebbe essere raggiunta da questo battello.

LE MISSIONI DEL SOTTOMARINO RUSSO

Ufficiosamente definito dagli stessi Russi come “nuclear deepwater station”, l’AS-31 sarebbe stato pensato e progettato al fine di svolgere missioni di ricerca scientifica a grandi profondità nonché di soccorso per altri sottomarini oggetto di incidenti. La realtà appare però diversa.

Si ipotizza infatti che il Losharik disponga di speciali slitte per posarsi sul fondo del mare, di varie eliche di manovra per un perfetto posizionamento e di altrettanto speciali “bracci manipolatori”; scopo finale, avere la capacità di intervenire sul varie infrastrutture sottomarine. Laddove il verbo “intervenire” in questo caso va interpretato come “sabotare”; oleodotti e gasdotti per esempio ma anche, se non sopratutto, si ipotizza la capacità di agire sulle dorsali di comunicazione poste sul fondo del mare. Sotto forma della posa di apparecchiature in grado di intercettare il flusso di informazioni che le attraversano o, in maniera più diretta, di interromperle. Del resto, la cosiddetta “Seabed Warfare” è ormai entrata a pieno titolo tra gli scenari operativi di maggiore interesse (e preoccupazione).

A completare il quadro, un’ultima importante considerazione. Questo particolarissimo e segretissimo battello non fa parte della Marina Russa bensì di una unità che opera direttamente alle dipendenze dal Ministero della Difesa di Mosca; unità nota con l’acronimo di GUGI o con l’identificativo di “Military Unit 40056”. Anch’essa ufficiosamente nasce sempre per gli stessi compiti: ricerca scientifica anche a grandi profondità e soccorso ad altri sottomarini sinistrati. Ma anche in questo caso la realtà è profondamente diversa.

Il GUGI dispone infatti numerose piattaforme di superficie e soprattutto sottomarine; tutte con caratteristiche uniche che, dato ancora più rilevante, assolvono compiti decisamente meno “pacifici” di quelli ufficiosi. Al contrario, proprio negli ultimi anni si è assistito a un chiaro nonché marcato incremento delle capacità più propriamente offensive; come dimostrato dalla comparsa del Belgorod, che però non è certo l’unica piattaforma o sistema di rilievo. Per esempio, la “Military Unit 40056” dispone di altri 2 sottomarini di grandi dimensioni, il BS-136 Orenburg e il BS-64 Podmoskovye; entrambi nati per il lancio di missili intercontinentali e poi profondamente modificati per poter svolgere ben altre missioni. Tra le quali, fungere da “navi-madre” per il trasporto di battelli di dimensioni più piccole; ivi compreso lo stesso AS-31.

L’INCIDENTE DEL LOSHARIK

1 luglio 2019, alle 8.30 ora di Mosca si sviluppa un incendio a bordo del Losharik; molto probabilmente partito dal locale batterie. Dopo ore di tentativi, alla fine l’incendio viene domato ma il bilancio delle perdite è pesante; 14 uomini dell’equipaggio muoiono nel tentativo di spegnere le fiamme mentre saranno solo 5 (tra cui un civile) i sopravvissuti.

Poco altro si sa, se non che l’incidente avviene nelle acque territoriali Russe, mentre lo stesso Losharik era già attraccato/collegato proprio a una di quelle 2 “navi madre” (l’ipotesi più che probabile è che si trattasse del BS-64 Podmoskovye) o fosse comunque in procinto di esserlo; riuscendo poi a completare comunque l’operazione a incendio iniziato. Tutto lascia pensare che, comunque, entrambi i battelli fossero impiegati in quel momento in una operazione o di sperimentazione di una qualche nuova capacità o fossero in procinto di avviare una missione operativa di altro profilo.

Oltre alle perdite umane, lo stesso AS-31 subisce poi gravi danni. Dopo essere stato rimorchiato (con fatica) nella base navale Russa di Severmorsk, sempre secondo le varie indiscrezioni circolate in quei giorni emerge che l’incendio ha danneggiato pesantemente molti dei compartimenti e dei sistemi ospitati; unica nota positiva, il fatto che la zona ospitante il reattore nucleare era stata rapidamente isolata evitando danni potenzialmente ben maggiori.

Da quel momento in poi (e sono già passati più di 4 anni), il Losharik è nuovamente “scomparso” come negli anni della sua costruzione; solo saltuariamente riemergono notizie come quella fornita dalla Tass che preannunciano un più o meno prossimo rientro in servizio. Senza che sia però davvero possibile sapere o capire quale sia la verità; ivi compresa la reale possibilità che il Losharik riesca davvero rientrare in servizio.

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