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Nuovo redditometro: tutto quello che non funziona. (Seconda parte)

Seconda e ultima parte di un approfondimento a cura dell'esperto fiscale Giuseppe Pasquale sul nuovo redditometro

 

Il nuovo redditometro è provvedimento lodevole nelle intenzioni, ma profondamente sbagliato nei tecnicismi. E il fatto che – è vero – consentirà di pizzicare un certo numero di evasori incalliti, non basta per plaudire allo strumento. Anche perché, per limiti di scala, esso non intaccherà minimamente i grandi numeri dell’evasione di massa. Visto nel complesso, infatti, trattasi di un rimedio peggiore del male.

Leggi anche: Nuovo redditometro: tutto quello che non funziona. (Prima parte)

Ma, purtroppo, la vendetta è servita. E’ passata la linea populista dell’accecamento moralistico. Sull’altare di una caccia senza quartiere all’evasore è stato sacrificato l’effettivo garantismo fiscale: la criticità principale in arrivo è che sarà macroscopica, e tutt’altro che infrequente, la violazione del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria. Tutto questo non potrà che produrre l’ennesima replica di un film già visto. Anche in passato – a cominciare dalla circolare 101 del 1999, che ne ‘stoppò’ la prima versione – fu la ‘messa a terra’ del modello teorico di redditometro a evidenziarne il punto di disfatta.

E a cagionare, da quel momento in poi, lo ‘stop and go’ e la falsa partenza di tutti i successivi prototipi, ad oggi rimasti incagliati nei rispettivi cassetti. Fino al black out a tempo indeterminato della più recente versione di redditometro, con il brusco ritiro, dal campo di gioco, disposto qualche anno fa addirittura con decreto-legge (articolo 10 del decreto ‘dignità’ del luglio 2018). E’ davvero singolare, pertanto, che dopo quarant’anni di applicazione pratica sempre in via provvisoria, e comunque saltuaria, a sdoganare questa versione di redditometro – la più sbagliata e la più oltranzista della storia (peraltro, in un testo identico a quello elaborato dal Governo Draghi) – sia stata la forza politica che ha la rappresentanza degli autonomi.

Ovvero di coloro che si preparano a essere fra le principali vittime degli effetti distorsivi del nuovo strumento (a cominciare dagli investitori medio-piccoli, come evidenziato qui in un recente intervento). Il d. lgs. 108 del 5 agosto scorso consegna un kalashnikov nelle mani dell’Agenzia delle Entrate (Ader). L’algoritmo calcolerà una cifra di partenza presuntivamente precisa.

Ma, precisa solo sulla carta. Sul piano pratico, invece, tale cifra è troppo approssimata nel quantum. E’ vero, il controllato può difendersi esibendo la prova contraria. Ma, anche questa, troppe volte sarà fruibile solo in astratto. E, invero, lo specifico tipo di contraddittorio imporrà, infatti, un iter assai rigoroso, fondato sulla puntigliosa ricostruzione delle movimentazioni finanziarie.

E se, pertanto, nel caso del dipendente, questi se la potrà cavare più agevolmente, giustificandosi con la storia del suo bravo stipendio (ben raccontata dagli estratti conto bancari), non avrà, invece, vita facile l’autonomo, poiché costui non dispone affatto di una tracciatura bancaria idonea a marcare, per il pregresso, il «quanto» e il «quando» delle proprie fonti di reddito. Per l’autonomo in buona fede, pertanto, sarà oltremodo difficile dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che le spese provengono da guadagni tassati in anni precedenti.

Così come sarà tutt’altro che scontato, per chi non ha sufficiente capienza fiscale, poter dimostrare che i pagamenti eccedentari provengono dai guadagni di un terzo (di solito uno stretto parente) che li abbia fiscalmente dichiarati in precedenza. Tutto questo per dire che lo snodo per ricondurre a ‘valore concreto’ la cifra algoritmica ‘presunta in astratto’ è tutta nella decisione del funzionario di turno dell’Ader. Il quale, però, lavorerà in solitudine, all’ombra degli amplissimi margini di discrezionalità, come si verifica immancabilmente di fronte alla ricostruzione di un ‘quid facti’.

Preoccupa anche, pertanto, l’attribuzione alla figura di frontline di poteri in dosi elevate, mai viste prima, che potrebbero rendere concreto il rischio di corruzione. Senza contare, infine, che, obiettivamente, per valutare con efficacia la prova contraria, saranno comunque necessarie, da parte del funzionario preposto, competenze professionali superiori all’ordinario.

Leggi anche: Nuovo redditometro: tutto quello che non funziona. (Prima parte)

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