Il memorandum di collaborazione industriale firmato da Italia e Cina durante la visita di Giorgia Meloni a Pechino – il viaggio, il primo da quando ha assunto l’incarico, si concluderà mercoledì 31 luglio – comprende anche settori che la presidente del Consiglio ha definito “strategici”, come la mobilità elettrica e le fonti energetiche rinnovabili. “Settori dove peraltro la Cina già da tempo opera sulla frontiera tecnologica, il che le richiede di agire come un’economia pienamente sviluppata quale è”, ha proseguito Meloni, “condividendo con i partner le nuove frontiere di conoscenza”.
La Cina è il paese che produce più pannelli solari, batterie e veicoli elettrici al mondo, dominando spesso le intere filiere di tutte queste tecnologie fin dai materiali di base.
LO SCOPO DEL VIAGGIO DI MELONI IN CINA
Nel concreto, questo memorandum di collaborazione industriale prevedrà scambi di visite tra funzionari italiani e cinesi, una maggiore condivisione sulle politiche economiche e sugli standard tecnici, l’organizzazione di conferenze congiunte e interventi di sostegno reciproco alle aziende. Sono più di 1600 le imprese italiane attive in Cina, operanti soprattutto nei settori tessile, farmaceutico, meccanico, energetico e dell’industria pesante. Il paese è il secondo socio commerciale extra-europeo per l’Italia, dopo gli Stati Uniti; a questo proposito, tuttavia, la presidente ha voluto sottolineare che “gli investimenti cinesi in Italia sono oggi circa un terzo di quelli italiani in Cina [questi ultimi ammontano a 15 miliardi di euro, ndr]. È un divario che mi piacerebbe fosse colmato nel modo giusto”.
Il primo ministro cinese Li Qiang ha parlato invece di una “cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra le piccole e medie imprese nei settori della costruzione navale, dell’aerospazio, delle nuove energie e dell’intelligenza artificiale”.
L’ITALIA CERCA ALTRI COSTRUTTORI DI AUTO
Il viaggio di Meloni in Cina, dunque, ha lo scopo di potenziare le relazioni commerciali-industriali tra Roma e Pechino in modo da stimolare la (fiacca) crescita economica italiana e favorire in particolare la ripresa dell’industria automobilistica, storicamente rilevante ma in crisi. In Italia c’è infatti un solo costruttore di auto, Stellantis, la cui produzione nel nostro paese è diminuita di oltre il 25 per cento nel primo semestre del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023: poco più di 300.000 veicoli.
Il governo Meloni sta allora cercando di attirare in Italia almeno un secondo costruttore di auto per bilanciare il disimpegno di Stellantis e alimentare la concorrenza nel settore, oltre che per favorire la transizione all’elettrico dell’intero comparto, considerato il divieto europeo alle immatricolazioni di vetture endotermiche dal 2035. Gli sforzi dell’esecutivo in questo senso, tuttavia, non sembrano stare avendo successo: si era parlato per esempio di trattative con l’americana Tesla e con le cinesi BYD e Chery, la prima ha scelto l’Ungheria e la seconda la Spagna.
L’Italia, assieme alla Francia e alla Spagna, ha sostenuto i nuovi dazi europei (fino al 37,6 per cento) sulle importazioni di auto elettriche dalla Cina.
IL GIUDIZIO DI VISENTIN (FEDERMECCANICA)
Intervistato dal Corriere della Sera, il presidente di Federmeccanica, Federico Visentin, ha detto che la mobilità elettrica è “sicuramente il più importante” tra i settori coperti dal memorandum di collaborazione industriale Italia-Cina, ma “aspettiamo di vederne i contenuti”.
Visentin aveva già detto, sempre al Corriere, di essere favorevole alla collaborazione con le case automobilistiche cinesi. “I cinesi”, ha ribadito al quotidiano, “sono gli unici in questo momento con le tecnologie adatte a una produzione di utilitarie elettriche a basso costo. Auto da 10-12 mila euro, per capirci. Sono queste le produzioni che possono fare i grandi numeri, le vetture premium non bastano a sostenere la filiera. E poi ingaggiare un player cinese ci restituirebbe qualcosa […]. Nel senso che noi europei abbiamo aperto filiali in Cina e loro hanno imparato dalle nostre tecnologie. In questo caso finalmente accadrebbe l’inverso: saremmo noi ad arricchirci del loro know how“.
Il presidente di Federmeccanica ha poi commentato le trattative tra il governo e le case automobilistiche cinesi, dicendo di sperare “che il viaggio di questi giorni possa sbloccare eventuali accordi”. Accordi che però, precisa, devono rispettare alcune condizioni: “è importante che si tratti di un gruppo che tenga in Italia una quota di ricerca e sviluppo”, l’anello di maggior valore della filiera; dopodiché, “il nuovo player deve prendere impegni rispetto all’utilizzo della componentistica italiana”.
Attualmente non esistono rapporti tra i fornitori di componentistica italiani e le case automobilistiche cinesi. Queste ultime, peraltro, si affidano alla supply chain cinese – il paese è il maggiore produttore al mondo di batterie e magneti in terre rare, oltre che il maggiore raffinatore delle varie materie prime – oppure producono internamente la maggior parte dei componenti, come nel caso di BYD. A livello generale, la filiera automobilistica italiana percepisce la Cina più come un rischio che come un’opportunità: i risultati dell’ultimo Osservatorio sulla componentistica automotive italiana e sui servizi per la mobilità, presentati dall’Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) dicono per l’appunto che il 36 per cento delle aziende della filiera automotive considera la Cina come una minaccia; solo il 16 per cento parla di opportunità da cogliere.
Anche Stellantis sta facendo più affidamento alla componentistica provenienti da paesi esterni all’Unione europea:. Si tratta, secondo Visentin, di “una scelta decisamente poco lungimirante che sta mettendo in grande difficoltà le nostre aziende”.