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Le guerre di Usa e Cina con l’intelligenza artificiale

Gli approcci di Stati Uniti e Cina nei confronti dell'intelligenza artificiale sollevano domande diverse, ma comunque inquietanti. L'approfondimento di Laura Turini tratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri

 

La tecnologia è uno strumento potentissimo per influenzare il pensiero senza un atto di impero, dando alle persone l’impressione che siano state loro ad avere l’idea che viene loro in qualche modo indotta, secondo il migliore metodo di persuasione già discusso nel 1936 da Dale Carnegie, esperto nella formazione manageriale, in Come trattare gli altri e farseli amici.

L’intelligenza artificiale sa farlo benissimo, oltre ad essere in grado di fare molte altre cose meglio degli uomini. Le discussioni sul fatto se sia corretto o meno chiamarla intelligenza, sono piuttosto sterili.

Qualsiasi nome le si voglia dare non cambia la sostanza e non riduce la sua capacità di analizzare una mole gigantesca di dati, impossibile per un essere umano, a cui si aggiunge la sua rapidità nell’elaborare risposte e nel prendere decisioni, con i benefici ma anche i rischi connessi.

La scelta di cosa delegare alle macchine, in quale modo e in quale misura, può cambiare il destino degli Stati,  deve essere assunta adesso ma non è chiaro quale sarà il modello politico che prevarrà.

Due approcci molto diversi

Il presidente americano Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping si sono incontrati a Ginevra il 14 Maggio 2024 per parlare di governance dell’intelligenza artificiale, ma sembra che ognuno sia rimasto sulla propria posizione.

Negli Stati Uniti, si lascia che le imprese competano tra di loro e, allo stesso tempo, in qualche modo trattino con lo Stato per ottenere le condizioni che possano favorire la loro crescita.

Il governo sta ascoltando le imprese che sviluppano sistemi di intelligenza artificiale e sta ipotizzando possibili scenari, ma è piuttosto improbabile che adotti misure che ostacolino la libertà di impresa o che prevedano un’ingerenza eccessiva dello Stato.

L’Executive Order di Biden del 30 Ottobre 2023 ha fissato alcuni principi generali e invita le imprese a collaborare per lo sviluppo di un’intelligenza artificiale sicura, affidabile e rispettosa della privacy.

Ci sono commissioni governative che cercano di approfondire il funzionamento dei sistemi e molto interessante è stata l’audizione in Senato dei responsabili delle imprese più rappresentative e di esperti della materia a Settembre 2023.

Anche se c’è l’intenzione di regolamentare il fenomeno – ancora non è ben chiaro come – l’obiettivo non è certo quello di creare ostacoli alle imprese che, nello spirito americano, devono poter sviluppare i propri prodotti con la massima libertà di manovra possibile. Lo Stato sarà al loro fianco, ma saranno le imprese a dominare la scena.

Cosa vuole la Cina

L’intelligenza artificiale non è però una tecnologia come tante. Il suo impatto sull’economia, sulla società e sulla politica stessa, può essere talmente impattante da rendere necessaria una riflessione che va oltre le logiche di mercato.

Come ci racconta David Runciman, docente di Scienze Politiche a Cambridge, nel suo ultimo libro dal titolo Affidarsi (Einaudi), l’intelligenza artificiale potrebbe un giorno anche rendere inutili gli Stati e svolgere quelle funzioni che fino ad oggi la collettività ha delegato loro.

Non saprei dire se la Cina veda questo pericolo o se stia semplicemente applicando il suo modello politico, che è assai diverso da quello statunitense, ma di certo sta puntando tutto sull’intelligenza artificiale a cui non intende lasciare il controllo totale di se stessa.

Xi Jinping vuole primeggiare nel settore e si è fatto promotore della Global AI Governance Initiative, che si propone di guardare allo sviluppo dell’AI come ad un obiettivo “comune condiviso da tutti i paesi del mondo, che riguarda il futuro dell’umanità”.

La Cina sta proponendo di non creare schieramenti opposti, imporre dazi o vincoli tra Stati, ma di collaborare di fronte a una tecnologia dirompente che deve essere gestita per il bene comune e collettivamente.

Alcuni, però, ritengono che si tratti solo di belle parole e che, nei fatti, la Cina starebbe comunque adottando a sua volta misure protezionistiche che riguardano principalmente la disponibilità delle tecnologie e delle materie prime.

Angela Huyue Zhang, professore dell’Università di Hong Kong, in un’intervista rilasciata alla MIT Technology Review in cui parla del suo libro High Wire: How China Regulates Big Tech and Governs Its Economy ci racconta qualcosa di più del modello cinese.

Rispetto alla tecnologia il governo cinese tende a seguire tre fasi, la prima in cui lascia ampia libertà di azione alle imprese, per farle crescere il più possibile, la seconda in cui interviene con una regolamentazione più rigida che ne riduce il margine di manovra e i guadagni e, infine, una terza, in cui allenta di nuovo la presa ma in misura ridotta rispetto all’inizio.

In questo momento la Cina sta dando ampia libertà di sviluppo ai sistemi di intelligenza artificiale, che sono considerati una tecnologia fondamentale per la supremazia.

Non dimentichiamoci che la corsa all’AI è una corsa agli armamenti e che il settore delle armi comandate è uno di quelli in cui la ricerca sta avanzando maggiormente.

La CAC, Cyberspace Administration of China, si preoccupa di ridurre il rischio che possano essere generati contenuti politicamente dannosi, ma per il resto la Cina ha, probabilmente, meno restrizioni degli Stati Uniti, per non parlare dell’Europa che ha varato la normativa più rigida al momento.

L’obiettivo è sviluppare modelli di intelligenza artificiale che incorporino i valori del socialismo e che, probabilmente, serviranno anche per esercitare un controllo sui cittadini e sull’orientamento delle loro scelte, politica tanto cara al governo cinese e che a noi occidentali fa orrore, anche se, in fondo, siamo solo diversamente manipolati.

La scelta che ci troviamo di fronte è tra essere sotto il controllo di uno Stato o essere nelle mani delle multinazionali dell’intelligenza artificiale.

Che alla base ci siano i principi del socialismo, o altri valori etici e culturali, qualsiasi sia il fine che lo Stato voglia raggiungere, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nell’apparato di governo è una scelta che potrebbe risultare saggia.

L’AI potrebbe gestire meglio le risorse per decidere su cosa investire, stabilire come redistribuire la ricchezza, come intervenire sulla politica ambientale, sulla base di calcoli statistici e valutazioni probabilistiche che da sole non bastano ma certo aiutano.

Probabilmente è presto perché l’intelligenza artificiale sostituisca lo Stato, ma non è detto che ciò non possa accadere in futuro.

Integrarla, con regole precise, nel processo decisionale potrebbe essere molto utile, per non dire necessario, prima che sia la tecnologia a segnare il passo in modo irreversibile.

(Estratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri: ci si iscrive qui)

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