È stato recentemente emanato il decreto del Ministero dell’Istruzione che finanzia il nuovo Piano per gli asili nido del valore di 734,9 milioni di euro. Il Piano, in linea con gli obiettivi del PNRR, punta a incrementare i posti degli asili nido al fine di “migliorare l’offerta educativa sin dalla prima infanzia e offrire un concreto aiuto alle famiglie, per ridurre le disparità territoriali”. Il fatto è che in molti Comuni, tra cui il mio Comune di Firenze, esistono molti posti di asilo nido comunale non usati, non perché non ci siano bambini ma perché gli asili nido privati costano meno.
Non sono le strutture fisiche che mancano ma la capacità gestionale. Gli asili nido, nel sistema di contabilità pubblica unificata, afferiscono alla “missione 12” che ricomprende tutto il versante dei servizi sociali. Nei Comuni del Centro Nord la missione 12 cuba tra il 20% e il 30% delle spese correnti di un comune. A fronte di tante risorse i risultati sono scarsi. Cerchiamo di capire perché. Mi rifarò prevalentemente al caso del Comune di Firenze che conosco abbastanza bene nei suoi dettagli (là dove il diavolo usa nascondersi).
Degli asili nido abbiamo già detto. Varie centinaia di posti non utilizzati per i quali i cittadini pagano educatori e strutture semplicemente perché le tariffe sono più alte di quelle rintracciabili nel mercato. Come mai? Semplicemente perché gli asili nido comunali non vengono gestiti con competenza manageriale ma semplicemente applicando pedissequamente leggi e contratti collettivi con una mentalità passivamente burocratica. A ciò si aggiunga che i servizi sociali vengono gestiti, in gran parte, da assistenti sociali e non da gestionari. Per erogare un servizio, spesso, il costo amministrativo ha un valore che supera il 50% del valore del servizio erogato. Gli assistenti sociali del Comune (di Firenze ma anche di tantissimi altri comuni) passano una gran parte del loro tempo lavorativo ad elaborare i così detti PAP (piani di assistenza personalizzati) di cui più del 90% non vengono mai realizzati. Questo perché il singolo assistente non ha a disposizione un budget ma deve limitarsi a mettere a punto il PAP che viene poi, a fine mese, preso in considerazione insieme a tutti gli altri PAP. Il contabile di turno, a questo punto, taglia, con logiche ragionieristiche, i PAP più costosi. Ne risulta che più della metà del tempo lavorativo degli assistenti sociali è impiegato a fare cose inutili. Basterebbe assegnare ad ogni assistente sociale un budget e responsabilizzarlo direttamente nelle scelte costi/benefici.
Una ulteriore piega dove si nascondono delle diavolerie è rappresentata dai rapporti tra sanità e assistenza sociale. Ipotizziamo un ottantenne che abiti da solo e che il sabato mattina si presenti al pronto soccorso di uno dei presidi ospedalieri dell’area fiorentina. Magari gli viene diagnosticata una polmonite curabile a domicilio con sette iniezioni di antibiotico e sette pasticche di cortisone. Il fatto è che l’ottantenne in questione abita da solo e non ha nessuno che possa andargli ad acquistare i medicinali prescritti. Siamo di sabato e i servizi sociali del Comune riaprono i battenti solo il lunedì mattina. Ne consegue che il nostro ottantenne resterà ad occupare un letto ospedaliero per i due giorni del weekend a ca. 800 euro al giorno! C’è di peggio. Alla ricerca di un coordinamento di tipo ideologico-giuridico, non tecnico operativo, tra sociale e sanitario la Regione Toscana ha a suo tempo istituito la così detta “società della salute”( leggi regionali 40 e 41 del 2005), sorta di consorzio tra comuni ed ASL chiamato ad occuparsi “della felicità integrata dei cittadini”. Tale istituzione è stata oggetto di interventi della Corte Costituzionale l’ultimo dei quali (ordinanza 267 del 2019) di fatto è risultato nella rinuncia spontanea della Regione Toscana dell’art 8 della legge regionale 41 del 2005 (ne risulta che le società della salute esistenti hanno una vita molto dubbia).
Una ultima osservazione. L’erogazione della maggior parte dei servizi sociali è affidata a cooperative alla ricerca del risparmio. I soci delle cooperative, infatti, sono soci e non sono dipendenti e, in quanto tali, non sono legati da contratti collettivi che prevedono dei minimi salariali. Le cooperative che erogano i servizi sociali accettano incarichi (tutti sotto soglia quindi al di fuori di gare ad evidenza pubblica) corrispondenti ad una remunerazione oraria di pochi euro per i propri soci. A fronte di tale misera remunerazione il Comune latita nel controllo dei servizi realmente erogati.!
Il sociale è una voragine su cui poco si concentra l’attenzione. Non solo l’INPS non avrebbe problemi finanziari se fosse liberata dal carico di interventi nel settore del sociale per cui non riceve corrispettivi. C’è tutta l’area dei servizi sociali erogati dagli enti locali da tenere sotto controllo! C’è da chiedersi se chi di volta in volta si trova all’opposizione nei vari Consigli Comunali ha mai acceso i fari sulla missione 12 del bilancio del Comune.