Caro direttore,
ho ascoltato ieri sera Report, la trasmissione di Sigfrido Ranucci che si è occupata tra l’altro di previdenza integrativa e si è soffermata in particolare su quella costruita attraverso la contrattazione tra sindacati e imprese che ormai riguarda milioni di lavoratori italiani.
Immaginavo fosse una indagine rigorosa sulla corrispondenza tra costi e benefici, sulla qualità delle prestazioni, sulla trasparenza dell’amministrazione affidata per forza di cose a soggetti professionali, su faraonici stipendi per gli amministratori e così via. Invece no. Anzi, il servizio prestato dai fondi sanitari integrativi è stato riconosciuto in generale come buono, in qualche caso migliore del servizio pubblico e garantito in tempi ragionevoli. Per di più il fatto che in queste casse esistano degli attivi (non semmai come siano gestiti) è diventata ragione di sgomento.
Per Report il principale motivo dello scandalo starebbe nel fatto che la contrattazione nella sanità integrativa sottrae spazio alla sanità pubblica perché, almeno in parte, la sostituisce. Ma non sarebbe piuttosto il caso di agevolare, come già peraltro avviene, questo trasferimento di oneri a carico di soggetti privati collettivi semmai imponendo alla sanità pubblica di garantire le prestazioni più importanti senza liste di attesa incivili?
La spesa sociale ha una dimensione notevole e cresce continuamente per effetto di una legislazione che di volta in volta risponde, più o meno, ai bisogni della società. Il fatto che una parte della popolazione si autoprotegga attraverso la contrattazione integrativa in materia di sanità o previdenza (ci sarà un’altra puntata di Report contro la Previdenza integrativa?) pur continuando a finanziare attraverso imposte e contributi il sistema pubblico è una tendenza che nella attuale situazione costituisce oggettivamente un fatto positivo.
Il vero terreno su cui bisogna sfidare le istituzioni è semmai l’uso efficiente delle risorse che debbono essere utilizzate per far funzionare il sistema sanitario pubblico, a partire dalla riduzione rapida e consistente delle liste di attesa che rappresentano, queste sì, una vera discriminazione dei ceti meno abbienti. Il pericolo più insidioso e socialmente inaccettabile è che una parte della popolazione rinunci alle cure per motivi economici. Se una parte importante del mondo del lavoro, nel solco della tradizione di cooperazione solidale del riformismo italiano, costruisce modelli di autotutela nel settore della cura e della sanità questo andrebbe visto come una scelta che deve rafforzare le garanzie di chi è in condizioni di maggiori difficoltà.
Nei prossimi anni potremmo essere chiamati in materia di finanza pubblica, a prescindere dal modello di Europa che saremo in grado di realizzare, a scelte difficili e dolorose tanto più gravose in un paese dove gli interessi corporativi di ogni tipo e natura ostacolano la difesa degli interessi generali. Fermi restando i principi della trasparenza e della responsabilità, mettere in discussione l’esistenza della contrattazione integrativa, sanitaria o previdenziale che sia, significa volersi privare di uno strumento essenziale.
Walter Galbusera