Caro Direttore,
Ho deciso di dedicare una riflessione di fine 2020 al grande filosofo David Hume. Prima di leggere e commentare le parole di Hume, mi piace ricordare brevemente la sua biografia. Hume nacque a Edimburgo nel 1711, rimase orfano di padre a tre anni e trascorse l’infanzia a Ninewells con la madre. Nel 1734 si trasferì in Francia, prima per pochi mesi a Reims, poi a La Flèche, dove rimase fino al 1737, lavorando alla composizione della sua grande opera: il Trattato sulla natura umana. I primi due libri del Trattato furono pubblicati nel 1739, il terzo nel 1740, tutti a Londra. La riflessione che vorrei condividere con lei è tratta dalle pagine del Libro III, Sezione II. Si tratta dunque di pensieri che dobbiamo contestualizzare in un mondo antecedente alla Rivoluzione francese, alle rivoluzioni industriali e a tutto ciò che è accaduto nel XIX e XX secolo. Tuttavia, sembrano riguardare da vicino la vita degli esseri umani durante la pandemia di questo terribile 2020.
La prima riflessione che ci offre Hume riguarda la presa di coscienza che ognuno di noi è stato costretto ad affrontare quest’anno di fronte alla diffusione del Covid-19: accettare la fragilità dell’essere umano. Continua a far impressione come un microscopico virus possa gettare nel panico l’intera umanità nel giro di poche settimane. Ma oltre ad accettare questo nostro limite fisico, c’è anche un altro aspetto di cui parla Hume che va adeguato alla nostra fragilità: la moltitudine delle nostre necessità. Durante questa pandemia, infatti, siamo stati costretti a prendere coscienza anche di quanti siano vari e numerosi i nostri bisogni. La combinazione di fragilità e bisogni è diventata il grande problema dei nostri giorni. Scrive a tal proposito Hume a pag. 957 del suo Trattato: “Con nessuno degli animali che popolano il globo la natura sembra essere stata più crudele che verso l’uomo, considerati gli innumerevoli bisogni e le necessità di cui lo ha sovraccaricato, e l’esiguità dei mezzi che gli concede per soddisfare queste necessità. Nelle altre creature questi due particolari in genere si compensano fra loro. Se consideriamo il leone come un animale vorace e carnivoro, noi scopriremo facilmente che ne ha assoluta necessità; ma se ci rivolgiamo alla sua costituzione fisica e al suo temperamento, alla sua agilità, al suo coraggio, alle sue braccia e alla sua forza, troveremo che i suoi vantaggi sono proporzionati ai suoi bisogni. La pecora e il bue sono privi di tutti questi vantaggi; nei loro appetiti sono moderati, e il loro cibo è facile da procacciarsi. Soltanto nell’uomo possiamo osservare al suo massimo grado questa innaturale unione di infermità e di necessità. Oltre al fatto che il cibo, richiesto per il suo sostentamento, elude le sue ricerche e i suoi tentativi di procurarselo, o almeno richiede una certa fatica per produrlo, egli deve anche possedere qualche abito e un alloggio, per difendersi contro le insidie del clima; eppure, a considerarlo solamente in se stesso, egli non è dotato né di solide braccia, né di forza, né di altre capacità naturale utili a soddisfare in qualche modo così tante necessità”. Oggi noi assistiamo in modo drammatico a questa compresenza di “infermità e necessità”. Da un lato siamo chiusi nelle nostre case, a proteggerci dal freddo e dal virus, dall’altra soffriamo per non poter fare tutto quello che serve per soddisfare i nostri bisogni fisici e intellettuali. Questa nostra fragilità, fisica ed emotiva, ci deve tuttavia spingere verso una riflessione più profonda sul senso delle nostre vite.
La seconda riflessione che vorrei condividere con voi è una diretta conseguenza della prima. Se consideriamo gli esseri umani creature fragili – dice Hume – non possiamo non vedere che grande vantaggio sia vivere in società. Scrive a supporto di questa tesi il filosofo scozzese: “Soltanto per la società egli [l’essere umano ndr] è in grado di sopperire ai suoi difetti, ergendosi dunque a una condizione di uguaglianza verso le creature attorno a lui, e magari diventarne superiore. Grazie alla società tutte le sue infermità sono compensate; e sebbene in questa situazione in ogni momento si moltiplichino i suoi bisogni, tuttavia le sue abilità ne risultano ancora più aumentate, lasciandolo sotto ogni aspetto più soddisfatto e felice di quanto gli sarebbe stato possibile nella sua condizione selvaggia e solitaria”.
È qui che Hume ci spinge con decisione a ragionare sulla nostra natura e sui vantaggi di un pensiero incentrato sul Noi rispetto all’Io. “Quando ogni individuo lavora da solo, e soltanto per sé, la sua forza è troppo esigua per compiere un lavoro considerevole; la sua fatica, infatti, verrebbe impiegata soltanto per sopperire alle sue varie necessità, e non raggiungerebbe mai la perfezione in alcuna arte particolare; e siccome la sua forza e il suo successo non si mantengono sempre identici, il minimo fallimento di uno di questi particolari sarà inevitabilmente accompagnato da rovina e miseria”.
Per Hume la società è la soluzione che permette agli esseri umani di migliorare le proprie condizioni di vita ed è questo il punto del discorso che voglio condividere con voi: “La società offre rimedio per questi tre inconvenienti: unendo le forze, il nostro potere aumenta; distribuendo le nostre mansioni, accresciamo la nostra abilità; soccorrendoci l’un l’altro, noi ci esponiamo meno al caso e agli incidenti. In forza di questa addizionale forza, abilità e sicurezza, dunque la società diventa vantaggiosa”.
Attenzione però. Hume ci avverte che non è tutto così semplice. Perché, per formare una società, “non è necessario soltanto che sia vantaggiosa, ma anche che gli uomini siano sensibili ai suoi vantaggi; ed è impossibile che, nel loro stato selvaggio e incolto, essi possano acquistare una tale conoscenza soltanto grazie allo studio e alla riflessione”. Con questa frase Hume ci dice due cose importanti: la prima è che per riconoscere i vantaggi di vivere in società servono studio e riflessione, la seconda però è che queste due cose non bastano da sole a dotarci di tale sensibilità ed elevarci dalla condizione selvaggia. “È dunque una circostanza molto fortunata che questa necessità, i cui rimedi sono remoti e oscuri – prosegue Hume nel ragionamento – si accompagnino a un’altra necessità che, potendo essere soddisfatta in modo più immediato e ovvio, a buon diritto può essere considerata come il principio primo e originario della società umana”. Per Hume “questa necessità non è altro che il naturale appetito che unisce assieme i sessi, e mantiene la loro unione finché tra di essi scaturirà un nuovo legame comune per la procreazione”. Questo nuovo interesse diventa così – spiega in dettaglio il filosofo – “anche un principio di unione tra genitori e la prole, e forma così una società più numerosa; in cui i genitori governano in virtù della loro superiore forza e assennatezza, e allo stesso tempo sono controllati nell’esercizio della loro autorità per la naturale affezione che li lega ai figli”. Molto rapidamente – conclude Hume – “il costume e l’abitudine agiscono sulle docili menti dei figli, rendendoli coscienti dei vantaggi che possono ottenere dalla società, e intanto li preparano gradualmente a viverci, appianando le spigolosità e le affezioni inconsulte che impediscono tale associazione”.
L’amore è dunque il sentimento che può favorire l’unione tra esseri umani, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, valicando anche i confini familiari, ponendo le basi della società umana. Hume non usa parole casuali, soprattutto quando parla di “costume” e “abitudine”. Per lui sono proprio le buone abitudini a renderci coscienti dei vantaggi che possiamo ottenere dalla società, preparandoci fin da piccoli a viverci. Chi ci riesce, capisce che la società è il nostro bene più grande. Per questo dobbiamo perseguire progetti che abbiano un valore sociale dimostrabile.
La crisi che si profila per il 2021 ci fa pensare purtroppo a una società disgregata, con relazioni sociali da ricostruire. Non credo che servano molte altre parole per commentare i consigli di Hume. La riflessione è valida per tutti, governanti e cittadini, imprenditori e dipendenti pubblici: unendo le forze il nostro potere aumenta, distribuendo i compiti possiamo essere più rapidi e abili nel porre rimedio ai problemi della crisi sanitaria ed economica, soccorrendoci l’un l’altro possiamo sfuggire ai pericoli e vivere più sicuri. Hume continua nel Libro III con molti altri pensieri, ma credo che per il momento vada bene fermarsi qui. Intanto colgo l’occasione per porgere a tutti i migliori auguri per un buon 2021.
Alessandro Albanese Ginammi
Dipartimento di Scienze Umane
Università Europea di Roma