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Ops, ecco tutte le ultime sportellate tra Intesa e Ubi

Ecco le novità sull'Ops di Intesa Sanpaolo che parte il 6 luglio su Ubi Banca. Nomi, numeri, scaramucce e squadre al completo che si confrontano

 

Ubi Banca e Intesa Sanpaolo sotto i riflettori nel giorno in cui parte il periodo per aderire all’Ops lanciata dall’istituto guidato da Carlo Messina.

Venerdi’ scorso il cda di Ubi Banca ha bocciato l’offerta di Intesa Sanpaolo, giudicandola non conveniente e non concordata. Inoltre, lo scambio proposto non sarebbe congruo perche’ non valorizzerebbe giustamente Ubi.

Gli analisti di Equita questa mattina suggeriscono “di aderire all’offerta”, ricordando che “l’Ops prevede un concambio di 17 azioni Intesa Sanpaolo per ogni 10 azioni Ubi portate in adesione: consigliamo di aderire all’offerta di Intesa Sanpaolo che ha garantito un premio del 28% rispetto ai prezzi precedenti la data dell’annuncio”. In questo quadro hanno tagliato il giudizio su Ubi da “hold” a “reduce”. Inoltre, contestano che il prezzo dell’offerta non sia congruo: “il premio del 28% vs il giorno pre-annuncio secondo noi è appealing perché negli ultimi 20 anni il premio medio in operazioni carta contro carta fra banche italiane e’ stato del 4%”.

Di fronte alla convinzione del management Ubi che la banca abbia elevate potenzialità di crescita, anche sulla base dell’aggiornamento del piano industriale, gli analisti della sim milanese scrivono che “negli ultimi 10 anni il ROTE di Ubi non ha mai superato il 5%, Ubi non ha mai avvicinato i target degli ultimi 2 piani industriali raggiungendo solo il 42%, 11% e 27% dell’obiettivo di utile del 2013, 2015 e 2019 (32% e 40% del target di dividendo del 2015 e 2019). Il mercato difficilmente incorporerà un outlook migliore per Ubi in termini di redditività rispetto a un track-record deludente quindi non sembra emergere spazio per rerating in base ai fondamentali”. Infine, gli analisti indicano che, “fermo restando che secondo noi Intesa Sanpaolo non ha interesse a danneggiare gli azionisti di Ubi che non aderiscono all’offerta, le consuete forze di mercato ci portano a pensare che al venir meno dell’Ops il prezzo di Ubi sara’ esposto ad un downside risk high double-digit”.

Ma oggi a essere protagonista dal punto di vista mediatico – dopo le decisioni del cda di Ubi Banca venerdì scorso è stata Intesa Sanpaolo.

In riferimento all’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria su Ubi Banca, che parte lunedì 6 luglio, Intesa Sanpaolo ha precisato che l’allocazione del valore e delle sinergie è superiore a quanto stimato da Ubi e che il dividendo previsto e’ congruo. Come si legge in una nota, “l’allocazione del valore e delle sinergie derivanti dall’operazione a favore degli attuali azionisti Ubi Banca e’ superiore all’ammontare stimato dal Cda di Ubi, pari al 10% del valore attuale delle sinergie complessive al netto dei costi di integrazione”, ossia circa 320 milioni di euro rispetto a un totale di 3,2 miliardi, calcolati considerando che gli attuali azionisti di UBI Banca verrebbero a detenere una quota pari a circa il 10% del capitale del gruppo risultante dall’operazione.

“Va infatti considerato anche il valore rappresentato dal premio offerto (pari a circa 1,1 miliardi ai prezzi del 14 febbraio 2020), che porta a un ammontare di competenza degli azionisti di Ubi Banca pari a oltre il 40% del valore attuale delle sinergie complessive al netto dei costi di integrazione”, si legge. Inoltre, il piano industriale aggiornato di Ubi, reso noto il 3 luglio, “nonostante una redditività rivista al ribasso – e in contrasto con quanto storicamente registrato da Ubi Banca – indica un incremento, rispetto a quanto comunicato precedentemente, dell’obiettivo in termini di distribuzione cumulata di dividendi nel triennio 2020-2022 (esclusi i dividendi di competenza dell’esercizio 2019), che diventa superiore del 60% rispetto a quella originariamente quantificata nel Piano e che nel Piano Aggiornato e’ stimata in circa 840 milioni, di cui 350 milioni derivanti da componenti straordinarie e non ripetibili conseguenti a cessione di partecipazioni”. Il Cda di Ubi ha evidenziato il fatto che la fusione non attribuirà alcun premio agli azionisti di minoranza che non avessero aderito all’Offerta.

“Intesa Sanpaolo fa presente che la legge e la prassi impongono di determinare il concambio di fusione (e quindi di valutare incorporante e incorporata, ovviamente senza premio di controllo) con criteri e metodologie che si ispirano anzitutto al principio di omogeneità e comparabilità degli elementi considerati, principio, questo, che garantisce la correttezza e la congruita’ del concambio”. Piuttosto, il Cda di Ubi “avrebbe dovuto ricordare agli azionisti che, ove gli stessi non aderissero all’Offerta, si troverebbero con un’azione contraddistinta da un prezzo che non conterra’ il premio implicitamente riconosciuto nell’ambito dell’offerta in favore degli aderenti (pari a circa il 28% sulla base dei prezzi al 14 febbraio 2020)”.

Inoltre, per quanto riguarda le valutazioni del Cda di Ubi sulla non congruità del rapporto di cambio dell’offerta, “non e’ stato adottato un approccio omogeneo per Intesa Sanpaolo e per Ubi Banca: infatti, per UBI Banca si e’ fatto riferimento al piano industriale aggiornato, mentre per Intesa Sanpaolo si e’ fatto riferimento alle stime degli analisti di ricerca pubblicate a seguito della comunicazione dei risultati al 31 marzo 2020”, si legge nella nota di Intesa, in cui si precisa che “con questo approccio disomogeneo, da un lato si e’ valorizzato appieno quanto stimato dal Cda di Ubi Banca senza nessun apprezzamento da parte del mercato e degli analisti di ricerca sulla realizzabilità di tali stime”, che tipicamente tiene in considerazione sia le condizioni di mercato sia i risultati passati del management nel raggiungere gli obiettivi prefissati, mentre dall’altro si sono utilizzate le stime riguardanti Intesa Sanpaolo elaborate dagli analisti di ricerca. “Va considerato che le stime degli analisti sull’utile netto di Ubi Banca previsto per il 2022 erano di circa il 30% inferiori rispetto a quanto indicato nel precedente piano industriale di Ubi Banca”. Inoltre, in contrasto con quanto riportato nel documento di offerta, il Cda di Ubi “non ha considerato, tra i metodi di valutazione, l’utilizzo dei prezzi di borsa, nonostante Intesa Sanpaolo e Ubi Banca siano società quotate con una liquidità tali da consentire la formazione dei prezzi sulla base delle ampie informazioni disponibili sulle prospettive di crescita, sul profilo di rischio e sulla generazione di utile e non ha evidenziato in maniera chiara il premio implicito riconosciuto nell’offerta sulle quotazioni di mercato delle azioni di Ubi Banca sui vari orizzonti temporali tipicamente presi a riferimento”. Infine, si legge, il Cda di Ubi non ha confrontato tale premio con quanto pagato mediamente in altre operazioni di mercato similari (Ops, Opas e Opa)”.

In riferimento all’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria su Ubi Banca, che parte oggi, Intesa Sanpaolo ha precisato che “la fusione è uno degli strumenti per massimizzare la creazione di valore dell’operazione, ma anche in assenza della medesima gli obiettivi strategici e le sinergie sono in larga parte conseguibili”, in assenza di fusione verrebbe conseguito circa l’ 87% delle sinergie previste nel caso di fusione. Come si legge in una nota, Intesa Sanpaolo, “acquisendo almeno il 50% del capitale più un’azione di Ubi Banca (soglia di partecipazione di controllo autorizzata dalla Bce), potra’ esercitare la maggioranza dei diritti di voto in assemblea, potrà legittimamente nominare un nuovo Cda (con la partecipazione di consiglieri indipendenti come previsto dalla legge e dallo statuto di Ubi Banca) e, anche ai sensi dell’art. 61 del Tub, eserciterà attività di direzione e coordinamento nei confronti di Ubi Banca nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, nell’ottica complessiva del Gruppo”. L’attività di direzione e coordinamento “può consistere in direttive concernenti, a titolo esemplificativo, l’ambito del controllo strategico, quello organizzativo e, piu’ in generale, quello gestionale”, si legge.

Ma quali sono le squadre complete che si confrontano con l’Ops? Ecco un estratto dell’articolo di Marcello Zacché del quotidiano Il Giornale:

Carlo Messina, il ceo di Intesa, ha giocato le sue carte fin da subito in tandem con Mediobanca, advisor dell’operazione: un’alleanza inedita tra due mondi sempre schierati agli opposti. Mentre Ubi, che appariva vittima designata, è invece uscita dall’angolo grazie alla tela che il suo numero uno, Victor Massiah, ha tessuto insieme con Sergio Erede, potente avvocato d’affari contemporaneamente impegnato con Leonardo Del Vecchio nella scalata al 20% del capitale della stessa Mediobanca. A questi due poli si sono avvicinati in tanti altri: con Intesa e Mediobanca il mondo Unipol-coop di Carlo Cimbri e, naturalmente, Generali (di cui Mediobanca è primo azionista) che ha appena rilevato la maggioranza di Cattolica Assicurazioni, schierata fino a ora con i manager di Ubi Banca.

Ma quest’ultima ha trovato sulla sua strada la vicinanza di Unicredit (preoccupata per lo strapotere di Messina) e per l’appunto il network Erede, che porta in varie direzioni: oltre a Del Vecchio c’è anche il gruppo Rotelli, il principale ospedaliero privato italiano, presieduto da un partner di Erede, Angelino Alfano; e c’è pure il Corriere della Sera, conquistato da Urbano Cairo quattro anni fa con la consulenza dell’abile avvocato d’affari, sempre lui. In proposito, l’operazione Intesa-Ubi può segnare la rottura di Cairo con Intesa, istituto schierato al suo fianco nell’Opa su Rcs del 2016 (e tuttora creditore di una trentina dei 100 milioni di debito residuo del gruppo editoriale): finanza ed editoria vanno da sempre a braccetto nelle manovre dell’establishment nazionale ed è difficile non leggere l’intervento di Salvatore Bragantini, sul Corriere del 3 luglio scorso, come un duro attacco a Intesa e all’Ops su Ubi, sferrato proprio alla vigilia.

Se da un lato Messina avrà amaramente incassato le critiche del giornale «di casa», dall’altro si presenta all’inizio della partita di oggi con il colpaccio dell’ultim’ora. Le dimissioni di Mario Cera, tra i più strenui nemici dell’Ops su Ubi, dalla guida del Patto Car, fanno pensare che il fronte del no si stia spaccando. Il Car raccoglie il 19% di Ubi. Ma il presidente di Fondazione Monte di Lombardia (socio al 4,9% di Ubi e nel Car), Aldo Poli, proprio il 3 luglio ha aperto a una rivalutazione dell’Ops di Intesa. Il Monte, al pari della Fondazione Cuneo (che ha il 5,9%) hanno entrambe ingaggiato SocGen come advisor per decidere sull’offerta. 

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