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Polonia

Tutte le vendette (fruttuose?) di Bruxelles

Il corsivo di Teo Dalavecuras

 

“Noi duri noi duri coi volti scuri scuri” erano le prime parole di una canzone di tanti anni fa di Fred Buscaglione, cantore nostalgico e satirico dell’epopea dei gangster americani. Potrebbe sostituire quella che era una volta l’inno ufficiale della Comunità europea, l’Inno alla gioia dalla Nona sinfonia di Beethoven (che da tanto tempo non si sente più, chissà perché).

Forse qualche indagine d’opinione ha segnalato che la credibilità delle istituzioni europee cala a vista d’occhio, forse gli stessi esponenti delle istituzioni che tra Bruxelles, Strasburgo, Francoforte e il Lussemburgo dovrebbero costituire lo scheletro dell’Europa intesa come protagonista della scena geopolitica mondiale, sentono il bisogno di essere rassicurati sul loro ruolo. Sta di fatto che a Bruxelles hanno deciso di usare la mano pesante.

Non potendo permettersela con un vero protagonista della scena geopolitica qual è Recep Tayyip Erdogan, compensano con la Svizzera. Sono passati quindici giorni dalla decisione del Consiglio Federale, il governo svizzero, di porre termine ai negoziati con la Ue per un accordo quadro per l’accesso al mercato europeo che gli europei condizionano – di fatto – al sacrificio di una quota della sovranità elvetica, e si è saputo che lo stesso giorno in cui Berna annunciava il proprio ritiro dal tavolo del negoziato la burocrazia di Bruxelles comunicava che i certificati svizzeri dei prodotti della tecnologia medicale (dalle siringhe ai letti di ospedale) non sarebbero più stati riconosciuti nella Ue. C’è già qualche Tir fermo in dogana.

Il “medtech” svizzero esporta ogni anno 12 miliardi di prodotti, la metà dei quali nella Ue, sicché si stima in 6 miliardi il conto di questa prima “punizione” di Bruxelles per la insufficiente arrendevolezza elvetica. Berna, più pragmatica e quindi meno astiosa della burocrazia Ue, non ha reagito revocando a propria volta il riconoscimento delle certificazioni europee, per evitare qualsiasi rischio di rarefazione dei prodotti in un settore delicato come quello della sanità.

Quello degli strumenti e delle attrezzature mediche non è il primo dispetto di Bruxelles: nel 2019 le autorità europee hanno revocato l’equivalenza tra le borse svizzere e le altre borse europee, misura alla quale la Confederazione ha reagito vietando la negoziazione dei titoli elvetici nelle borse europee e quindi, in buona sostanza, senza rilevanti conseguenze negative.

Ma non c’è solo la Svizzera. In questi giorni, Bruxelles sta preparando un’azione legale contro la Germania per sanzionare una decisione della Corte costituzionale di Karlsruhe che nel maggio del 2020 aveva statuito che uno dei programmi di acquisto di obbligazioni della Bce doveva considerarsi illegale alla stregua dell’ordinamento giuridico tedesco, a meno che la Banca centrale europea non dimostrasse – ciò che aveva omesso di fare – che gli acquisti erano giustificati. La decisione (che confliggeva con una precedente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea) era motivata tra l’altro con la considerazione che tra i principi fondanti dell’Unione europea vi è il mantenimento della sovranità secondo il diritto internazionale in capo ai singoli stati-membri, affermazione, questa, difficilmente contestabile. Prima che a qualcuno passi per la testa l’idea che la Commissione Ue si accinge a “mettere in riga” anche la Germania è opportuno ricordare che a infastidirsi per la decisione della Corte di Karlsruhe è stato innanzitutto il governo di Angela Merkel.

La sovranità, peraltro, si manifesta normalmente con l’esercizio del potere di veto attribuito a ciascun Stato-membro, ma anche su questo fronte si preparano delle novità. Il ministro degli Esteri di Berlino, Heiko Maas, ha dichiarato di recente (ma è un suo pallino) che “Non possiamo più concederci il lusso di restare ostaggi di coloro che paralizzano la politica estera con i loro veti. Il veto va cancellato”.

Anche se è difficile immaginare come si possa eliminare il potere di veto senza rinegoziare i Trattati, il dato più significativo è che l’Europa di Bruxelles e dintorni (è ovvio che la Germania non ha mai avuto né mai avrà bisogno del veto, perché le scelte di politica estera non le subisce come i Paesi più piccoli, ma le impone agli altri, semmai consultandosi con Parigi) è sempre più caparbiamente determinata a concentrare a Bruxelles tutti i poteri esecutivi rifiutandosi con pari determinazione di affrontare il tema, esistenziale, della legittimazione democratica, non potendosi certo ritenere tale il Parlamento di Strasburgo che, per la modalità con cui viene eletto, non è che l’assemblea di delegazioni dei parlamenti nazionali e, per i marginali poteri che gli sono attribuiti, una parodia delle vere assemblee legislative. E senza legittimazione democratica l’Europa non può rivendicare la sovranità che resta il presupposto della personalità internazionale di uno stato. Così come sono, le istituzioni europee rimangono la maschera dell’egemonia franco-tedesca (finché dura) in Europa.

Ho letto nei giorni scorsi il 30 aprile 1993 di Filippo Facci, utile e accurata rievocazione di una brutta pagina della storia d’Italia. Trovo questa citazione di Bettino Craxi, riferita al 1997: “Si sente parlare più dei poteri di certe banche centrali che non di Parlamento europeo”.

Per concludere con le parole di un’altra canzone, “come prima, più di prima”.

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