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Le aliquote Iva aumenteranno o no? Fatti, numeri, frottole e documenti

Verità e bugie sull'Iva

 

Ma quindi dall’anno prossimo le aliquote Iva aumenteranno o no?

I due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, dicono di no. Il Def dice altro. E il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, discetta di posizioni scientifiche e politiche.

Vediamo di approfondire.

Tagliare l’Irpef è “un atto di giustizia necessario, soprattutto per i ceti medi che hanno subito gli effetti di un fiscal drag da tutti contestato, ma che nessuno ha mai provveduto ad attenuare”, ha detto oggi il ministro dell’Economia. Tuttavia per Giovanni Tria, intervistato dal Messaggero, aumentare l’Iva non è un tabù. Anzi. Il suo parere da economista è stato ed è che sia necessario spostare la tassazione dalle persone (Irpef) ai consumi (Iva), anche se poi “sarà la politica a decidere”.

Ecco quello che pochi anni fa l’economista ora titolare del Tesoro scriveva (qui tutte le idee di Tria): “Come ho sostenuto da oltre un decennio e non da solo, ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde. Si tratta di una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell’introduzione di un sistema di flat tax per attuare un’operazione vantaggiosa nel suo complesso”.

Sulla questione Iva, oggi al Messaggero Tria ha chiosato: “Nel 2016 ho ricevuto un premio giornalistico per un articolo nel quale spiegavo le virtù di un’imposta più spostata sui consumi che sulle persone. E qui mi fermo, perché si tratta di una posizione scientifica, non di una decisione politica”.

Ma non si tratta solo di una posizione scientifica. Basta leggere il Def 2019, come pubblicato ufficialmente ieri e sottolineato ieri in un articolo di Michelangelo Colombo per Start Magazine, rilanciato da Dagospia.

Ecco che cosa si legge: “L’inflazione resterà contenuta nel 2019 (1,0 per cento) per effetto della caduta dei prezzi dei beni energetici e del rallentamento della domanda interna. Nel 2020 e 2021 la crescita dei prezzi risente dell’aumento delle aliquote IVA”.

In un’altra pagina del testo si legge anche: “La dinamica delle entrate tributarie risente delle disposizioni che hanno aggiornato dal 2020 gli aumenti automatici dell’IVA e delle accise, e anche l’obbligo della trasmissione elettronica dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate, nonché accordato la definizione agevolata delle contestazioni fiscali e delle controversie tributarie pendenti. In base alla legislazione vigente, le imposte indirette in rapporto al PIL saliranno dal 14,5 per cento nel 2019 al 15,6 per cento nel 2020 e al 15,7 per cento nel 2021, mentre torneranno sul livello del 15,6 per cento nel 2022”.

Certo, nel Def la pressione fiscale è solo tendenziale. Prima il governo dovrà decidere cosa fare con le clausole di salvaguardia che, se il prossimo anno dovessero scattare, costerebbero agli italiani più di 23 miliardi di euro.

E una volta stabilito se disinnescare o meno gli aumenti Iva, si dovrà attendere l’arrivo dell’annunciata Flat tax per le persone fisiche, che, secondo le stime più ottimistiche, dovrebbe costare tra i 12 e i 17 miliardi.

Al momento, dunque, nulla è definito e dunque davvero programmabile, ha spiegato oggi il Sole 24 Ore: “Nelle quattro righe inserite nel Def la pressione fiscale strettamente vincolata all’attivazione delle clausole di salvaguardia prevede che nel 2020 tasse e tributi peseranno sugli italiani per il 42,7% del Pil, proprio a causa dell’aumento dell’Iva: dal 22% al 25,2% per l’ordinaria e dal 10% al 13% per quella agevolata. Per quest’anno la pressione fiscale si dovrà ridurre dello 0,1% del Pil passando dal 42,1 del 2018 al 42%. Un decimale che al momento appare anche difficile da giustificare”.

Fa però notare un economista esperto di finanza pubblica, dopo aver analizzato testi e tabelle di Def e Pnr: “Nel Def è previsto aumento dell’Iva. E difficilmente potrà essere sostituito da una manovra, aumenterebbe il debito. L’aumento dell’Iva gonfia il Pil nominale (stimolando inflazione), denominatore per il calcolo del debito. Una manovra che sostituisse l’aumento dell’Iva non produrrebbe gli stessi effetti sul Pil”.

Ma che cosa era scritto in altri Def sulle clausole di salvaguardia?

Nel Def 2017, nello scenario tendenziale si leggeva: «Tra i fenomeni di maggior rilievo che, a partire dal 2018, insistono sull’evoluzione del saldo appena delineata si segnalano gli incrementi delle aliquote Iva e delle accise sugli oli minerali – che determinano un effetto migliorativo sugli incassi».

Nessuna significativa differenza, quindi, tra il Def 2019 e il Def 2017: parlando di scenario tendenziale si deve guardare alla legislazione vigente, e in entrambi i casi erano previsti aumenti dell’Iva come clausole di salvaguardia, ha evidenziato un approfondimento dell’Agi: “Ma il Def 2017, a differenza del Def 2019, affrontava immediatamente la questione delle clausole di salvaguardia, dando indicazioni precise sull’intenzione di disattivare gli aumenti dell’Iva previsti”.

Già nella “Premessa” del Def 2017 infatti era scritto: «In merito alle clausole di salvaguardia tuttora previste in termini di aumento delle aliquote Iva e delle accise, il Governo intende sostituirle con misure sul lato della spesa e delle entrate, comprensive di ulteriori interventi di contrasto all’evasione».

Conclusione: nel Def 2019 approvato dal governo Conte una presa di posizione programmatica del genere non c’è. E’ dunque prevalsa la “posizione scientifica” di Tria?

Alla prossima puntata della telenovela “L’Iva della discordia”. Con una certezza: fino alle Europee sentiremo dire che l’Iva non aumenterà.

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